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Tumore del Glomo Carotideo

E’ una formazione anatomica di piccole dimensioni situata presso la biforcazione della carotide.
Che cos’è la

Tumore del Glomo Carotideo

Il glomo carotideo è una formazione sita a livello della biforcazione carotidea. Le cellule che lo costituiscono derivano sia da elementi mesodermici del terzo arco branchiale, che da cellule ectodermiche della cresta neurale; tessuti simili si ritrovano a livello della vena giugulare, del nervo vago, dell’arco aortico e del sistema nervoso autonomo. Sono state descritte neoplasie a livello di tutte queste sedi, e i tumori che ne derivano sono detti paragangliomi o chemodectomi; il tumore del glomo carotideo è il più comune fra questi, con un’incidenza comunque inferiore allo 0.5% di tutti i tumori (incidenza di circa 1 caso su 30.000 abitanti per anno). Il glomo carotideo contiene terminazioni nervose che partecipano, con quelle di altre aree, alla regolazione della respirazione, della frequenza cardiaca, del calibro dei vasi e della contrattilità del cuore.



I tumori del glomo carotideo possono insorgere ad ogni età, ma la maggior parte dei pazienti ha tra i 30 e i 40 anni; le regioni più colpite sono quelle che si trovano alle grandi altezze, come la Bolivia e il Messico, poiché l’ipossia cronica comporta iperplasia delle cellule del glomo. Anche soggetti fumatori, con BPCO, cardiopatie croniche, e altre condizioni di ipossia cronica hanno una maggior probabilità di sviluppare tumori glomici.
La gran parte di questi tumori ha carattere benigno; la percentuale di malignità non supera il 25%, e in alcune casistiche è quasi nulla. Le metastasi, qualora presenti, sono quasi sempre regionali; tra gli organi a distanza, colpiti molto raramente, il polmone è la sede più interessata. Esistono evidenze a supporto di una familiarità per i tumori glomici, e i geni responsabili potrebbero essere localizzati a livello dei cromosomi 5, 7 e 11. I tumori del glomo carotideo possono presentarsi associati ad altri paragangliomi, specialmente nei casi con evidenza di familiarità; in una piccola percentuale di casi si ritrovano nell’ambito di una sindrome poliendocrina (MEN di tipo II).

Sintomi

La sintomatologia può essere a lungo silente, poiché i tumori del glomo hanno tipicamente una crescita lenta. Le prime avvisaglie in genere derivano dall’effetto massa e dalla compressione da parte del tumore di strutture vicine. Il paziente può lamentare cefalea, presenza di una massa a livello del collo, vertigini, ipoacusia, acufeni, disfagia, raucedine, sincope, sindrome di Bernard-Horner, cecità transitoria. Molto spesso è presente un soffio laterocervicale, indicativo di una generica “stenosi carotidea”. Il tumore è pulsante, ed è mobile solamente in direzione laterale, non cranio-caudale (segno di Fontaine). Al contrario dell’aneurisma, non è espansibile. Le suddette caratteristiche possono essere utili per evitare di confondere la massa con altre patologie, come accade in molti casi.



Diagnosi

La diagnosi è spesso casuale, e avviene nel corso di esami effettuati per altre ragioni. Quando è il sospetto clinico a indirizzare il medico, questi può effettuare:




Eco-color-Doppler

dei vasi del collo (esame di prima istanza, non invasivo, permette di rilevare una massa ipervascolarizzata e di definirne le dimensioni)


Angio-TC ed angio-RM

(non sono in grado di sostituire pienamente l’angiografia, quindi nella maggior parte dei casi la affiancano, risultando utili soprattutto per valutare l’infiltrazione degli organi vicini)



Angiografia

(sebbene oggi esistano mezzi meno invasivi, rimane l’indagine più ricca di informazioni; è quindi utile in previsione dell’intervento, specialmente quando il tumore è grande e si voglia embolizzarlo preoperatoriamente)


Scintigrafia

con 111In (utile per la diagnosi e la localizzazione di tumori neurosecernenti, anche quando si sospettano localizzazioni multiple; inoltre consente di vedere se il tumore presenta recettori per la somatostatina, caso in cui è possibile trattare il paziente inoperabile con farmaci specifici)


La biopsia va invece evitata, perché la pericolosità di cui è gravata si accompagna ad un valore diagnostico irrisorio.
Il tumore ha una attività neurosecernente nel 5% dei casi, per cui occorre effettuare sempre il dosaggio degli ormoni tiroidei, delle catecolamine urinarie e plasmatiche, delle metanefrine urinarie, dell’acido vanilmandelico, dell’acido omovanillico e del 5-HIAA. Quando l’attività è presente, l’associazione con altri paragangliomi è più frequente, per cui è doveroso andare alla ricerca di questi.

Quando la neoplasia raggiunge notevoli dimensioni, può rendersi responsabile di deficit nervosi (soprattutto a carico dei nervi X, XI e XII), disfagia, dolore cervicale.
Più raramente danno tachicardia, palpitazioni, flushing, crisi ipertensive, vertigini, malessere generale, diarrea, legata all’attività amino-secernente dei chemocettori.

Trattamenti

La risoluzione del problema è la sua asportazione chirurgica.
La Radiologia Interventistica svolge un ruolo fondamentale nella maggior parte dei casi in fase pre-chirurgica.
L’Arteriografia consiste in uno studio radiologico del sistema vascolare che si effettua in anestesia locale tramite l’introduzione di un mezzo di contrasto nelle arterie che alimentano questo tumore. Quindi, l’arteriografia da importantissime informazioni sulla vascolarizzazione del tumore, sui rapporti con le strutture vicine e permette di individuare con esattezza le arterie che portano il sangue al tumore.
L’esame permette inoltre di studiare le vene che drenano il sangue della testa. In casi particolari il principale scarico venoso risulta essere proprio il bulbo della giugulare del lato da operare. Non essendo possibile risparmiare questo vaso nel corso dell’intervento, in tale situazione è consigliabile rinviare l’operazione, per evitare problemi dovuti alla stasi venosa cerebrale. Generalmente la crescita del tumore comporta una lenta chiusura del bulbo della giugulare con contemporaneo sviluppo compensatorio di vasi secondari, il che rende possibile l’esecuzione dell’intervento.La risoluzione del problema è la sua asportazione chirurgica.
La Radiologia Interventistica svolge un ruolo fondamentale nella maggior parte dei casi in fase pre-chirurgica.
L’Arteriografia consiste in uno studio radiologico del sistema vascolare che si effettua in anestesia locale tramite l’introduzione di un mezzo di contrasto nelle arterie che alimentano questo tumore. Quindi, l’arteriografia da importantissime informazioni sulla vascolarizzazione del tumore, sui rapporti con le strutture vicine e permette di individuare con esattezza le arterie che portano il sangue al tumore.
L’esame permette inoltre di studiare le vene che drenano il sangue della testa. In casi particolari il principale scarico venoso risulta essere proprio il bulbo della giugulare del lato da operare. Non essendo possibile risparmiare questo vaso nel corso dell’intervento, in tale situazione è consigliabile rinviare l’operazione, per evitare problemi dovuti alla stasi venosa cerebrale. Generalmente la crescita del tumore comporta una lenta chiusura del bulbo della giugulare con contemporaneo sviluppo compensatorio di vasi secondari, il che rende possibile l’esecuzione dell’intervento.


Embolizzazione:

Dopo aver eseguito l’arteriografia, se si conferma la possibilità dell’intervento chirurgico (come succede nella stragrande maggioranza dei casi), si procede a chiudere i vasi che portano sangue al tumore, attraverso il posizionamento di piccole particelle o spirali metalliche all’interno dei vasi stessi. Affinché tale trattamento abbia la massima efficacia va eseguito nelle 72 ore che precedono l’intervento, e necessita di un ricovero.


Arteriografia che dimostra la vascolarizzazione del tumore del glomo carotideo Nella immagine a sinistra, si nota la vascolarizzazione sensibilmente ridotta dopo embolizzazione con particelle.




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